di Domenico Vigliaturo
Finisce in maniera drammatica l’inverno e inizia ancor peggio la primavera: intorno alle 23:00 partono le edizioni straordinarie dei TG, l’ora è grave. Quando mancano trenta minuti alla mezzanotte, il Presidente Conte si rivolge alla Nazione e lo fa con toni dolorosi. Sono decisioni mai assunte nella storia repubblicana, che pur ha dovuto affrontare momenti difficili, dallo stragismo alla mafia alle calamità naturali. Eppure, la gravità di questo momento è forse maggiore. Il nemico non è tangibile, il nemico non combatte con le nostre stesse armi, il nemico stravolge le nostre abitudini e più che l’attacco è necessaria la ritirata. È un decreto a vietare gli abbracci e le strette di mano, è un decreto a vietare i baci, è un decreto ad allontanarci. Mai nessuno si era spinto fino a tanto, neanche nella peggiore distopia. La quotidianità si stravolge. E ci impone un rallentamento, un rallentamento nelle relazioni della vita a partire da quella con noi stessi. È un rallentamento nelle relazioni con gli altri, con chi ci circonda. Tutti guardano tutti, con sospettosa ansia. Finanche davanti allo specchio ci si guarda straniti. È la stessa persona quella che si specchiava qualche settimana fa e quella che si specchia ora? Parafrasando Eraclito e il celeberrimo frammento “non si può discendere due volte nel medesimo fiume” diremmo tranquillamente di no… e così è. Non siamo più quelli che eravamo prima e non potremmo esserlo, anche cercando inutilmente di riportare indietro le lancette del tempo. Lancette del tempo che scorrono in maniera fortemente accelerata: la richiesta è sì di rallentare ma di rallentare subito, istantaneamente, in maniera, cioè, diametralmente opposta alle tempistiche umane… e nel frattempo… si sospende la democrazia. Il Parlamento lavora in maniera monca e i video-annunci del Governo piovono sui social, si comprimono i diritti e le libertà, quanto, insomma, è alla base delle democrazie “alla occidentale”. Si fa ciò in virtù del preminente interesse pubblico da tutelare, la salute, senza la quale tutto il resto caduca inevitabilmente. In virtù di ciò si barricano i portoni di casa, si serrano le fabbriche, si richiede l’esercito nelle strade. Si sospendono, ormai da quasi un mese, le attività didattiche di ogni ordine e grado all’interno degli istituti scolastici, probabilmente per non riavviarle in tempi ragionevoli. Le lezioni si spostano quindi sulle piattaforme digitali che in questo caos si rivelano più che utili sia pur, come sostiene il docente Roberto Vecchioni intervistato da La Stampa, “la scuola è vita e non telematica e se succederà quello che pare – ovverosia la chiusura per lunga durata – tutto ciò mancherà terribilmente ai ragazzi”, e sicuramente è così, per gli studenti di ogni età, anche per quelli che la vivono inconsciamente.
In lacrime il rettore dell’Università di Perugia, rivolgendosi agli studenti, chiede forza, coraggio e determinazione: “… poi ci ubriacheremo tutti e pomiceremo stesi sui prati…”. Separati da una linea di demarcazione, alcuni bambini e il loro maestro a San Fiorano, città-zona rossa nei giorni passati. È un momento difficile e lo è per tutti. In questo rallentamento accelerato, che impone il silenzio e invita forzosamente alla riflessione su quello che sarà il domani si ritorna inevitabilmente a quello che è stato l’ieri., a quando esattamente cinque anni fa, da studenti del secondo anno di Liceo Classico, ci trovavamo in gita tra la Toscana e le Marche, immersi nel silenzio di Assisi, ad ammirare la bellezza di Firenze, a disturbare la quiete di Siena. Proprio a Firenze l’incontro con alcuni ragazzi spagnoli (Pedro, Salva…) che chiedevano indicazioni, a noi più sperduti di loro. Studenti di una Spagna che oggi versa in una situazione tanto critica quanto quella italiana. Esattamente un anno fa l’ansia per l’avvicinarsi degli esami e la festa dei 100 giorni, il pranzo con i compagni e i docenti, “lo spirito di condivisione e il futuro utopico che immaginavamo”; eppure le interrogazioni, i compiti in classe, lo sguardo critico sul mondo, le esercitazioni per gli esami… nella scuola che anche oggi e nonostante tutto invita ad appassionarsi alla bellezza (intesa nella sua accezione più ampia e nobile) quale unica via per invertire il corso funesto che hanno preso le cose e sopravvivere al nostro stesso inaridimento e imbarbarimento, sia pur ben mascherato. Esattamente un anno fa le prime proteste per l’ambiente, le manifestazioni, il ritorno comunque dei giovani nelle piazze e l’affiorare di una nuova sensibilità.
“Formidabili quegli anni”, per continuare a citare Vecchioni, e quanto terribilmente sono diversi quei giorni da questi! Quella che appariva la normalità oggi viene meno, eliminata per decreto. E quello che assale è un sentimento di generale confusione, di spaesamento. È in questo spaesamento che però la scuola e le istituzioni scolastiche si confermano tassello fondamentale. È in questo frangente che la scuola entra nelle case prepotentemente, riappropriandosi anche dei giusti spazi televisivi: Rai Scuola, Rai Storia, Rai Cultura, Rai5. Proprio su Rai5 ritorna in onda uno speciale per Dante, in questi giorni citato a più riprese. “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, il verso con cui si auspica la fine di questo inferno e l’avvento – oserei dire – di un qualcosa di nuovo e migliore. Le stelle sono la meta ultima, il viaggio è infatti ancora lungo: c’è tutto il purgatorio da attraversare e poi “puro e disposto a salire a le stelle” l’accesso al Paradiso. Ciò a metafora di quanto ancora lunga sia la strada da attraversare per costruire un domani migliore sulle lacerazioni dell’oggi, su una realtà che manifesta la peggiore crudeltà nella brutalità dei numeri e delle cifre dei decessi e degli ammalati, nelle lacrime dei parenti delle vittime, nel dolore ma nella fermezza dei medici nei reparti-trincea degli ospedali.
La realtà si disarticola, i mondi si disconnettono.
A far tenere questi mondi sconnessi, costretti a una separazione forzata, ecco la scuola. Le scuole e le università che non abdicano dalla loro funzione eminentemente formativa, di raccordo dei mondi sociali, nonostante anni di pesanti tagli e sforbiciate. Ecco la scuola che tiene vivo il dibattito culturale, che fa fermentare i pensieri, le riflessioni! Ecco la scuola che fa fermentare le idee, “perché le idee – sempre con Vecchioni – sono come farfalle che non puoi togliergli le ali, perché le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali, perché le idee sono voci di madre che credevano di avere perso, e sono come il sorriso di dio in questo sputo di universo”. Ecco la scuola che in un momento così difficile non riduce il confronto avvalendosi della moderna tecnologia che, la brutalità del momento insegna, se usata per fini positivi si dimostra strumento valido ed efficace. È anche su queste fondamenta che si inizia già a costruire la base del domani, in uno sforzo di importanza centrale. Importanza centrale che assumerà ancora maggiore rilievo se nessuno, proprio nessuno, verrà lasciato fuori o escluso, compreso chi anche solo nell’edificio “scuola” ha la sua prima casa e chi non ha le possibilità e i mezzi per usufruire delle tecnologie oggi a servizio dell’istruzione.
In questo momento “per il poeta che non può cantare, per l’operaio che ha perso il suo lavoro, per chi ha vent’anni e se ne sta a morire in un deserto come in un porcile” è necessario dare il meglio di noi perché “questa maledetta notte dovrà pur finire”, perché “la vita è così forte che attraversa i muri per farsi vedere”, perché “la vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare”, perché “la vita è così grande che quando sarai sul punto di morire pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire”.
Forza ragazzi!
Da un ragazzo, Domenico Vigliaturo.