di Alessandro Liguori
Le società umane, tutte quante, da quella babilonese a quella romana, passando per quella greca, hanno trovato nell’aggregazione il loro punto di forza. In origine questa aggregazione o, come è ricorrente dire ai nostri tempi, questo “assembramento”, si basava sulla necessità di scambiare merci e procurarsi il cibo ma, già con la nascita dell’agorà in Grecia, diventa soprattutto luogo di scambi di idee. Diretto discendente dell’agorà è il foro romano, luogo fondamentale soprattutto da un punto di vista economico, giudiziario e amministrativo. In età cristiana, la piazza diventa il luogo in cui si trova la chiesa, termine che nella sua radice, kaléo, contiene l’idea di chiamare ad adunanza, di cercare il confronto. La nostra società, dunque, possiede da più di duemila anni una “cultura della piazza” ed è innegabile il fatto che le nostre idee, senza qualcuno che le ascolti, perdano di valore. Noi siamo la generazione della Piazza 2.0, una piazza che è diversa da quella del passato per il fatto che, attraverso i social, non ha più un luogo ben delimitato anche se ha ugualmente ha bisogno di essere “riempita” da persone che ascoltano, che si confrontano ed esprimono la propria opinione. In effetti le idee espresse sui social network ci ricordano quelle espresse nelle piazze dell’antichità e gli influencer gli oratori che raccolgono enormi quantità di consensi con i loro modi di agire, le loro idee. Certo, spesso le affermazioni, i like, le opinioni affrettate o superficiali espresse dagli influencer e dai loro followers ben poco hanno a che fare con gli oratori del passato, con la loro caratura umana, morale e culturale (lungi da me paragonare Demostene e il suo discorso contro Filippo il Macedone ad un qualsiasi influencer moderno); eppure questa “piazza”, che lo si voglia o no, fa parte della nostra società e della nostra modernità. Inoltre, diciamolo, non dobbiamo vedere in questo nuovo modo di confrontarsi solo e sempre gli aspetti negativi. Siamo nel bel mezzo di una pandemia che sta stroncando migliaia di vite e di storie, ogni giorno. Ora più che mai questa Piazza 2.0 ci viene in soccorso, essa si reca da noi e ci fornisce ciò che prima si procurava all’esterno: notizie e raccomandazioni, ci permette di essere meno soli, di poter parlare con i nostri figli, i nostri nipoti, di poter godere di un abbraccio, seppur virtuale. La nostra è stata, fino ad oggi, una generazione privilegiata: negli ultimi 75 anni la quasi totalità di noi non ha conosciuto la guerra e i suoi orrori. Ora ci troviamo ad affrontare ciò che mai nessuno avrebbe voluto affrontare: l’isolamento, il distanziamento sociale. La piazza, quella vera, è vuota: ben venga quella 2.0 se può offrire a tutti noi un po’ di conforto nella solitudine della quotidianità.