di Chiara Triolo
«Mariam, distesa sul divano, con le mani tra le ginocchia, fissava i mulinelli di neve che turbinavano fuori dalla finestra. Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice dal qualche parte del mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al cielo, si raccoglievano a formare le nubi e poi si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente. “A ricordo di come soffrono le donne come noi” aveva detto. “Di come sopportiamo in silenzio tutto ciò che ci cade addosso”»
Afghanistan: “Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri”, così come non si possono contare gli abusi, le discrepanze sociali, il numero delle persone costrette a condizioni di morte, più che di vita. Ma, nei suoi libri, Khaled Hosseini dispone un quadro netto e chiaro della situazione pressante che ormai affligge il Paese da oltre mezzo secolo e delle persone che ne vengono più colpite, quelle povere, povere di privilegi, di istruzione, di potere. Dai bambini privati di comprensione, verità e scelta, con i destini già segnati protagonisti de “Il cacciatore di aquiloni” alle donne di “Mille splendidi soli”.
Una è Mariam, una ragazza di quindici anni che, dalla sua “kolba” di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e di film che proietta nel suo cinema. Lei vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa del padre, dove lui non la porterà mai, perché Mariam è una “harami”, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto.
Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera, perché l’unica cosa che deve imparare è la sopportazione. Scappa, ma si ritrova sola, con una madre suicida e un padre che accetta solo di cederla in sposa a un vecchio uomo. L’altra è Laila, nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. I suoi fratelli si sono arruolati nella jihad, ma lei era troppo piccola per ricordarli e il giorno del loro funerale le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo, ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashtu e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra. Due vite così diverse unite dalle costrizioni della guerra. Le donne si ritrovano nella stessa casa a dover affrontare l’imponenza di un marito violento e di un paese che non tollera la loro libera esistenza.
Le donne sono diverse, non sono capaci di pensare come gli uomini, “lo dice la scienza”, pertanto non possono pretendere di andarsene in giro per la città, men che meno con capelli svolazzanti e cosce scoperte.
Mariam non sapeva distinguere l’amore e l’odio, perché, per come l’aveva vissuto lei, “L’amore era un errore pericoloso e la sua complice, la speranza, un’illusione insidiosa.”. Imparerà pian piano e a sue spese a riconoscerlo: nei gesti, negli occhi di una bambina che lo cerca, come lo cercava lei, l’amore, nell’istinto di sopravvivenza, nella forza di combattere, distruggere e sacrificare la vita per restituirla o regalarla a chi potrà e saprà farne qualcosa.
Che razza di mondo è questo e dov’è la dignità? Dove sono le leggi a Kabul o a Herat? Dov’è la tutela dell’ESSERE UMANO, della sua VITA?
Bambini schiavi, bambini che vanno a mendicare, donne, ragazze senza volto né corpo se non nei letti dei propri mariti, che ne fanno ciò che vogliono.
Dove sta qui la “giustizia”?
“Mille splendidi soli” è un libro di rivalsa, fa rabbrividire perché crudo nelle descrizioni e per i suoi sospiri infelici di un mondo che, purtroppo, esiste. Possano questi, un giorno, trasformarsi in sospiri di sollievo e gioia, innalzati a formare non mille, ma infiniti splendidi soli sui cieli del mondo.