Era il 21 febbraio del 1958 quando Gerard Holtom ideò il simbolo della pace: un cerchio con dentro tre semplici linee, una verticale e due oblique. Quel disegno, semplice e facilmente riproducibile, sarebbe diventato l’icona di tutti i movimenti pacifisti e il simbolo universale in ogni manifestazione per i diritti civili. Campeggia, infatti, non solo nelle proteste contro la guerra, ma è stato anche impiegato da movimenti ambientalisti, nella difesa dei diritti delle donne o degli omosessuali, nella lotta all’apartheid.
Alla fine degli anni Cinquanta, lo spettro di una guerra atomica mobilitava larghe fasce di popolazione in campagne e marce per il disarmo nucleare. Holtom pensò che avere un’icona avrebbe reso più incisive le loro battaglie e, ispirandosi all’alfabeto semaforico, dalle iniziali delle parole “Nuclear” e “Disarmament” inserite all’interno di un cerchio che simboleggia la Terra, creò il simbolo della pace. Nato per tutt’altro scopo, cioè le campagne per il disarmo nucleare, oggi è diventato per noi l’emblema di molteplici battaglie che hanno un solo scopo comune: un mondo senza conflitti e in cui vengano rispettati i diritti di tutti.
Più volte si è cercato di screditare questo simbolo, capace di coalizzare e mobilitare milioni di persone a favore di battaglie non sempre condivise da tutti. Gli oppositori sono arrivati ad attribuirgli anche un significato satanico, denominandolo come “zampa di corvo” o “croce spezzata”, ma senza scalfirlo anzi, rendendolo ancora più forte.
Da quel lontano febbraio non c’è luogo in cui il logo della pace non sia comparso, sulle bandiere, sei muri di ogni città, sulle guance dei protestanti fino ad arrivare alle t-shirt e ai gioielli. Su di esso, infatti, non è stato posto alcun vincolo alla riproduzione, proprio a voler testimoniare l’universalità e la non commerciabilità dei valori a esso sottesi.