di Francesco Miranda
Ancora una volta la Scuola italiana è finita nell’occhio del ciclone destando scalpore e stupore. A farla da protagonista è stato l’Istituto Comprensivo “Via Trionfale” di Roma che, incautamente, e di sicuro involontariamente… vogliamo sperare…, ha suddiviso per provenienza sociale i propri alunni nei vari plessi dell’Istituto. E così, apprendiamo che in un plesso studiano i ragazzi “dell’alta borghesia”, in un altro alunni “di bassa estrazione sociale” e in un terzo un “mix”. Tale descrizione appare nella sezione dei dati di contesto del PTOF dell’Istituto, il documento fondamentale delle scuola. Immediato l’intervento del ministro Azzolina che, esprimendo il proprio sdegno al riguardo, ha chiesto all’istituto romano motivate ragioni in merito a questa scelta. Sorge spontanea una riflessione sul senso e sull’opportunità di questa descrizione per ceti sociali, dato che in tal modo l’ideale di inclusione che l’istituzione scolastica deve perseguire viene a cadere irrimediabilmente. Ci si chiede come sia possibile che in una società in cui la parola inclusione ha sostituito la parola integrazione, arricchendone il significato e il contenuto, si verifichino ancora atteggiamenti classisti e discriminatori, per di più da parte di Istituzioni preposte all’accoglienza ed alla formazione civica dei cittadini. Il Dirigente dell’Istituto ha prontamente smentito le accuse, minimizzando sul fatto che si è trattato di una semplice descrizione dell’utenza della scuola, senza alcun intento discriminatorio. Peccato, però, che invece sia apparso l’esatto contrario agli occhi di tutti. Giova a questo punto citare l’antropologo Gregry Bateson che, nelle sue riflessioni sulla saggezza, scrive: “La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza”.