Di Chiara Triolo
Cinquanta anni dal 16 aprile 1971 vuol dire anche 50 anni dalla pubblicazione del singolo “Brown Sugar” dei Rolling Stones. Il singolo venne registrato, nell’arco di tre giorni, al Muscle Shoals Sound Studio nella città musicalmente ricca di Sheffield in Alabama, e fa parte dell’album “Sticky Fingers”. Con la sua uscita anticipata rispetto al disco, riscosse grande successo: in Gran Bretagna si classificò immediatamente al secondo posto tra i brani più ascoltati, mentre direttamente al primo posto negli Stati Uniti, in Canada e in Olanda. Nato da un’idea di Mick Jagger, probabilmente ispirato dalla cantante Marsha Hunt, durante le registrazioni di un film, divenne un’icona della discografia della band.
Può essere considerato come la bolla dei tabù degli anni Settanta; il testo spazia, invero, dalle perversioni sessuali (incentrandosi sulla violenza fatta dai padroni agli schiavi africani venduti a New Orleans) all’uso di droghe pesanti: il “Brown Sugar” è un nome per identificare l’eroina in sostanza pura, di colore marrone e generalmente appiccicosa.
I contenuti forti e diretti non vennero accettati, infatti, da tutta la società dell’epoca, senza calcolare lo scandalo che avrebbe potuto generare il titolo inizialmente pensato da Jagger: “Black Pussy”. Questo possibile secondo nome aprì dibattiti sul brano: sia davvero eroina il “Brown sugar” o un’allusione alle ragazze di cui si stava facendo abuso? Dal libro Up And Down With The Rolling Stones di Tony Sanchez, si evince che una cosa sia collegata all’altra: la schiavitù e la fustigazione rappresentano un doppio motivo per i pericoli di essere “dominati” da “Brown Sugar”. Le polemiche e lo scandalo passarono però in secondo piano, sormontate dalla bellezza e popolarità della melodia e del ritmo: un riff di chitarra elettrica accompagnato, dopo un’introduzione di poche battute, dalla batteria, dal basso, dalla chitarra ritmica e dal sassofono tenore, che diviene lo strumento protagonista per oltre mezzo minuto.